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Don Salvo aveva riaperto la casa lasciatagli dalla nonna. Lo aveva fatto con un progetto che lo infuocava da sempre. Quella casa era abitata da donne: Lucia, Lara, Fathà e poi Petunia, sui documenti Pietro Loconsole. Donne che abitavano quella casa dove "non ha nessuna importanza da dove proveniamo, tanto chi siamo davvero non lo sapremo mai". Le loro storie annebbiate, confuse, in bilico tra bene e male, tra odio e amore. Salvo Petruzzelli era il suo nome: un prete perfettamente in grado di muoversi tra i depistaggi della vita, in una sospensione consapevole, in cui si riceve tutto, anche il marcio. In una omelia sancì che Dio è tra i nostri frammenti da raccogliere affinché non si disperdano nel nulla. Accusato dai detrattori, amici delatori, politici di essere freudiano, anarchico, con una fede soggettiva e puttaniere che millantava la redenzione in cambio di sesso da preti. Ma lui era lì, nella casa dove le emozioni si alternavano come altalene in un bosco abbandonato spinte da un vento irrazionale: dall'inutilità, dalla gioia dei ricordi, dall'angoscia per il futuro, dal gusto per l'arte di cui le donne sono portatrici sane.